Lo Scientific Management affonda le sue radici in Adam Smith e nella rivoluzione industriale inglese. Ha avuto il merito di rappresentare un punto di vista peculiare, specificatamente caratterizzato, con una straordinaria capacità di costruzione e interpretazione della realtà e dell’esperienza organizzativa.
A livello della produzione, i suoi riferimenti sono stati:
- serialità
- standardizzazione
- specializzazione del lavoro e delle mansioni
A livello dello scambio:
- mercato di massa
- orientamento al prodotto e alla quantità
Le organizzazioni – sia quelle con un preciso obiettivo economico, sia quelle di servizio pubblico e, in generale, le grandi burocrazie – sono state orientate da culture e meccanismi operativi fondati sulla centralità del comando, su un’attenzione ossessiva ai processi di esecuzione.
Il modello cognitivo sottostante è sintetizzabile nei seguenti principi:
- massimizzazione dei risultati nel minor tempo possibile
- riduzionismo di ogni varianza
- deresponsabilizzazione personale sul risultato finale
- trionfalismo funzionale, specchio della negazione sistematica della indispensabilità relazionale con l’altro.
Le organizzazioni ispirate e gestite attraverso la prospettiva paradigmatica dello Scientific Management si pongono come soggetti collettivi chiusi, con una forte capacità di previsione e una approccio lineare e sequenziale del processo decisionale.
Il modello comunicazionale è quello, one-way, “ricevuto-passo”, anzi “ricevuto-chiudo”.
Le soluzioni tecnologiche sono quelle standardizzabili e da incorporare in un prodotto stabilizzato per il suo ciclo di vita commerciale. Molte innovazioni possibili vengono trascurate, non solo per ragioni commerciali, ma anche produttive (perché sono extra-standard).
L’attitudine culturale è quella del conformismo alle soluzioni stabilite come le più efficienti e che vengono capitalizzate come thesaurus.
Appare evidente l’inadeguatezza di questo modo di procedere a fronte di un mondo “complesso”, vale a dire plurale, nonché in rapido e continuo mutamento nel tempo e nello spazio remoto e di prossimità. Lo Humanistic management si propone appunto come alternativa a questo modello ancora pervasivo ma ormai del tutto superato.
In particolare, oggi è necessario guardare ad un nuovo modo di fare impresa, ad una “organizzazione 2.0″ fondata su
- la velocità e la flessibilità nel cambiamento continuo (tema al centro del volume Nulla due volte) di ruoli e modalità operative (che richiedono una forte adattabilità dei sistemi informativi, tempi di risposta sempre più stretti rispetto alle esigenze del business, capacità di supportare processi organizzativi spesso variabili e destrutturati);
- la collaborazione tra le persone indipendentemente da gerarchie e schemi organizzativi predefiniti;
- l’apertura dei confini dell’organizzazione per coinvolgere attori esterni quali clienti, partner e fornitori;
- la virtualità nell’accesso a strumenti, informazioni e relazioni, indipendentemente dalla localizzazione fisica e dagli orari di lavoro;
- la spinta alla creazione diffusa e partecipativa di contenuti e conoscenza (co-creation);
- la spinta alla socialità nella comunicazione e nei rapporti
- una visione etica forte e coerentemente agita.
L’illustrazione di Luigi Serafini è tratta da Le Aziende InVisibili, di Marco Minghetti & The Living Mutants Society, Libri Scheiwiller, 2008.
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