Una contraddizione dell’azienda contemporanea è quella che ne L’Impresa shakespeariana (2002) è riportata come opposizione fra “cloni” e “mutanti”.
Per comprenderla è sufficiente richiamare l’idea secondo cui da molto tempo sarebbe in atto la “guerra dei talenti”: un’idea introdotta dalle grandi società di consulenza internazionale per vendere alle aziende una serie di servizi (strumenti di selezione, politiche di retention, strumenti per l’individuazione degli alti potenziali ecc.) finalizzati ad attrarre e trattenere le risorse migliori. Nella realtà abbiamo assistito al fallimento di moltissimi programmi avviati dalle imprese in questo campo. La crisi economica attuale ha ulteriormente peggiorato la situazione, riducendo in particolare i giovani a cloni impauriti e senza speranze per il futuro.
La ragione di questo disastro va ricercata proprio nel fatto che le organizzazioni, in grandissima parte, si fondano su modelli organizzativi e gestionali adeguati non a valorizzare gli individui di talento, le personalità originali, bensì a trattare le persone alla stregua di cloni, ripetitori razionali di compiti e mansioni. L’opposizione “cloni – mutanti”, ovvero “risorse umane – persone”, è dunque uno spartiacque fondamentale fra lo Humanistic Management e lo Scientific Management, che porta a concepire la necessità di un radicale rinnovamento delle organizzazioni basato sui nuovi modelli di Enterprise 2.0.
Questo ad esempio era l’incipit della Premessa al Manifesto dello Humanistic Management (2004): “I paradigmi imprenditoriali classici, via via affermatisi negli ultimi cento anni, si mostrano sempre più inadatti a offrire sia interpretazioni convincenti dell’impresa, sia strumenti operativi efficaci per la sua gestione. I limiti attuali dello scientific management e dei suoi derivati sotto il profilo tecnico, psicosociale e politico sono stati posti in luce da molti autorevoli studiosi. In questa sede, ci interessa sottolineare che le condizioni di permanente incertezza e di bassa prevedibilità della maggior parte delle variabili strategiche impongono alle aziende, oggi più che mai, la necessità di trasformarsi in tempi rapidi. Il cambiamento non può più essere considerato una fase dell’evoluzione aziendale, essendo divenuto il normale stato delle organizzazioni contemporanee, chiamate ad essere continuamente “mutanti”. Il capitale intellettuale diventa così un imprescindibile generatore di valore aggiunto. E siccome, a differenza della catena di montaggio la “fabbrica delle idee” si fonda sulla creatività, sulla imprevedibilità, sulla sorpresa e sull’emozione, vengono meno i presupposti di un mondo dove i ruoli sono precisi, le professionalità definite, le competenze omogenee. La realtà non è più tracciabile attraverso linee rette che congiungono i singoli punti: essa viene, al contrario, rappresentata da infiniti possibili percorsi, ciascuno dei quali meriterebbe di essere esplorato”.
Del tutto analogamente, otto anni dopo (2012), nell’articolo introduttivo alle 59 tesi del Social Business Manifesto leggiamo: “Il modo in cui abbiamo concepito sinora l’organizzazione delle nostre aziende non funziona più. Abbiamo fatto del management una scienza; abbiamo cercato di trasformare le persone in macchine; abbiamo segmentato i compiti togliendo significato alle cose che facciamo mentre lavoriamo; abbiamo spersonalizzato per cercare di controllare l’organizzazione; abbiamo cercato di standardizzare il lavoro (cfr. su questo La dittatura dello Standard e il Nonsenso di Alice - Alice Annotata 17b) per garantirci la possibilità di replicare le prestazioni senza imprevisti. Questa organizzazione ha funzionato molto bene fino a quando il tema era replicare. Diventa un modello che funziona molto meno bene quando il valore che le persone sono chiamate a generare ha a che fare con la conoscenza, con l’innovazione continua, con il mondo dell’intangibile”.
Concetti che in maniera più articolata troviamo espressi anche nella Quarta Variazione Impermanente del Manifesto dello Humanistic Management (confrontare per credere) e che sono alla base del concept di Nulla due volte: che fin dal titolo di chiara ascendenza eraclitea richiama l’inevitabile necessità del mutamento continuo. Del resto non a caso, a differenza di chi anche in tempi recenti ha adottato la forma Manifesto per ragionare sui temi della comunicazione e della cultura d’impresa, non abbiamo voluto esprimere tesi “fondative”, bensì piuttosto “temporanee”, “transitorie”, “incostanti”: “impermanenti”, come è la realtà che oggi abitiamo. “Variazioni“ in senso musicale, intese come modificazioni di un tema sotto l’aspetto ritmico, armonistico, contrappuntistico, timbrico, tale che il tema stesso possa essere sempre riconoscibile in forme continuamente diverse. La centralità della mutazione è infine richiamata anche nelle altre due opere cardine dello Humanistic Management: Le Aziende InVisibili e La Mente InVisibile che, anche nelle loro “versioni mutanti ” sotto forma di blog, video, mondi virtuali, sono state realizzate da un composito gruppo denominato “The Living Mutants Society”.
Insomma, è giunta l’ora dello Humanistic Management 2.0: come dimostra, fra le altre cose, un dettaglio: il richiamo che gli estensori del Social Business Manifesto fanno a quella Alice dalla identità mutante (cfr Alice la sensemaker: l’identità mutante – Alice annotata 15b) che anche noi abbiamo assunto come simbolo della ricerca di un nuovo modo di gestire le organizzazioni: “Questa operazione di adeguamento deve essere fatta molto in fretta, perché il mondo è sempre più veloce. Come dice la Regina di Cuori di Alice nel paese delle meraviglie, dobbiamo correre, ma dobbiamo correre per rimanere nello stesso posto”, scrivono gli estensori del Social Business Manifesto. Proprio le stesse parole che abbiamo utilizzato nel corso della presentazione del progetto La rivoluzione social e le aziende, come si può vedere anche dalle slide usate in quell’occasione pubblicate su Slideshare (Risorse Umane 2.0?).
E per questo motivo va “spezzata una lancia” (è proprio il caso di dirlo) anche favore di un’altra capitale figura carrolliana: l’apparentemente sconclusionato Cavaliere Bianco, che secondo alcuni rappresenta proprio una critica all’idea moderna di invenzione tecnologica priva di vero valore per gli esseri umani e per l’ambiente in cui vivono: “Alice denuncia l’inutilità delle invenzioni del Cavaliere Bianco, quando si accorge della trappola per topi sul destriero del Cavaliere e commenta: “Non è molto probabile che ci possa essere un topo sul dorso di un cavallo.” Si potrebbe dire che le avventure di Alice si svolgono in un mondo fantastico, dove potrebbe essere normale trovare topi a passeggio sul dorso dei cavalli. Tuttavia, l’accordo del Cavaliere con Alice, “Non è molto probabile, in effetti”, indica al lettore che invece di facilitare la vita, le invenzioni del Cavaliere creano problemi. Anche il fatto che tutte le cose possedute dal Cavaliere cadano fuori dal box da lui stesso inventato, è un’altra dimostrazione del fatto che le sue invenzioni producono problemi, invece che soluzioni ai problemi” (http://www.victorianweb.org/authors/carroll/ansay.html).
Va cioè sempre tenuto bene a mente che l’innovazione richiede la capacità di pensare in maniera diversa, laterale, deviante. Per citare Jeff DeGraff: “Le virtù dei buoni manager sono ben note. Essi rendono la nostra vita più facile mantenendo le cose in pista e sotto controllo. Sanno spremere il massimo del minimo, eliminando ogni variazione. Il problema è che tutte le forme di crescita richiedono devianza per la produzione di novità utili e preziose. Il problema emerge quando leader focalizzati unicamente sull’efficienza sono messi a capo di progetti di innovazione e di iniziative volte a modificare il modo in cui l’impresa opera. Per quanto possano essere ben intenzionati, inevitabilmente agiscono in conformità alle pratiche che hanno portato ai loro successi precedenti e finiscono per essere accusati di soffocare la crescita della società. C’è un unica soluzione al problema: la Devianza richiede Devianti”.
Ma la risposta che riceve chi in azienda propone questo genere di soluzioni è troppo spesso simile al rimprovero rivolto dall’Amministratore Delegato Fordgates al Direttore delle Risorse Umane Deckard ne Le Aziende InVisibili: “Cosa si è messo in testa, Deckard? Quale engima vuole mai nutrire? Già pare improbo creare un ambiente lavorativo pronto a gestire l’imprevedibilità dei cambiamenti che ci si presentano ormai quotidianamente: ma non è contraddittorio pensare di regolarizzare la produzione di eccezioni, generare continuamente discontinuità, necessitare il caso, appesantire la leggerezza, rendere movimentata un’istituzione? Normiamo, regoliamo, rendiamo l’impresa una macchina efficiente e non perdiamoci in assurdità” (Le Aziende In-Visibili, Episodio 58).
Si tratta tuttavia della difesa ad oltranza di un passato ormai sepolto. Perchè non stiamo qui parlando di meri problemi tecnici, manageriali. La mutazione nei modelli di apprendimento e produzione del sapere sta investendo tutta la nostra società. Così la descriveva già nel 2006 Alessandro Baricco ne I Barbari: ”credo che la mutazione in atto, che tanto ci sconcerta, sia riassumibile interamente in questo: è cambiato il modo di fare esperienze. C´erano dei modelli, e delle tecniche, e da secoli portavano al risultato di fare esperienza: ma in qualche modo, a un certo punto, hanno smesso di funzionare. Per essere più precisi: non c´era nulla di rotto, in loro, ma non producevano più risultati apprezzabili. Polmoni sani, ma tu respiravi male. La possibilità di fare esperienze è venuta a mancare. Cosa doveva fare, lanimale? Curarsi i polmoni? L´ha fatto a lungo. Poi, a un certo punto ha messo su le branchie. Modelli nuovi, tecniche inedite: e ha ricominciato a fare esperienza. Ormai era un pesce, però.
Il modello formale del movimento di quel pesce l´abbiamo scoperto in Google: traiettorie di links, che corrono in superficie. Traduco: l´esperienza, per i barbari, è qualcosa che ha forma di stringa, di sequenza, di traiettoria: implica un movimento che inanella punti diversi nello spazio del reale: è l´intensità di quel lampo. Non era così, e non è stato così per secoli. L´esperienza, nel suo senso più alto e salvifico, era legata alla capacità di accostarsi alle cose, una per una, e di maturare un´intimità con esse capace di dischiuderne le stanze più nascoste. Spesso era un lavoro di pazienza, e perfino di erudizione, di studio. Ma poteva anche accadere nella magia di un istante, nell´intuizione lampo che scendeva fino in fondo e riportava a casa l´icona di un senso, di un vissuto effettivamente accaduto, di un´intensità del vivere. Era comunque una faccenda quasi intima fra l´uomo e una scheggia del reale: era un duello circoscritto, e un viaggio in profondità.
Sembra che per i mutanti, al contrario, la scintilla dell´esperienza scocchi nel veloce passaggio che traccia tra cose differenti la linea di un disegno. E´ come se nulla, più, fosse esperibile se non all´interno di sequenze più lunghe, composte da differenti “qualcosa”. Perché il disegno sia visibile, percepibile, reale, la mano che traccia la linea deve essere veloce, deve essere un unico gesto, non la vaga successione di gesti diversi: è un unico gesto, completo. Per questo deve essere veloce, e così fare esperienza delle cose diventa passare in esse per il tempo necessario a trarne una spinta sufficiente a finire altrove. Se su ogni cosa il mutante si soffermasse con la pazienza e le attese del vecchio uomo con i polmoni, la traiettoria si disferebbe, il disegno andrebbe in pezzi. Così il mutante ha imparato un tempo, minimo e massimo, in cui dimorare nelle cose. E questo lo tiene inevitabilmente lontano dalla profondità, che per lui è ormai un´ingiustificata perdita di tempo, un´inutile impasse che spezza la fluidità del movimento. Lo fa allegramente perché non è lì, nella profondità, che trova il senso: è nel disegno. E il disegno è veloce, o non è nulla”.
Ecco allora che, vista in questa luce, l’”inutile” creatività del Cavaliere Bianco, come quella del suo “”doppio” Lewis Carroll, ci appare, lo dicevamo anche in La creatività del Cavaliere Bianco – Alice annotata 25, assolutamente necessaria. Tanto che la devianza, la mutazione, la diversità assurgono a valori fondativi di un nuovo modello d’impresa, quello della social organization, mirato ad attrarre e a sviluppare le persone innovative, curiose e flessibili come la nostra Alice Nativa Digitale, dall’identità molteplice, Sensemaker: fin dai primi passi in Wonderland, scopre che l’essere sprofondata nella tana del Bianconiglio la sta conducendo in un viaggio giocoso verso la superficie della sua “identità infinita”, che si sviluppa sempre contemporaneamente in due direzioni opposte. Barbara proprio come i barbari di Baricco, che compiono rovesciamenti epocali: “Superficie al posto di profondità, viaggi al posto di immersioni, gioco al posto di sofferenza”.
E allora, se proprio dobbiamo parlare di guerra dei talenti, sottoscriviamo le parole di J.P. Rangaswami: ”La guerra dei talenti sarà vinta o perduta sul campo dei valori e dell’etica aziendali”.
L’illustrazione di Luigi Serafini è tratta da Le Aziende InVisibili, di Marco Minghetti & The Living Mutants Society, Libri Scheiwiller, 2008.
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