Sesta Variazione. Lo humanistic management riporta la tecnologia, con i suoi automatismi e sistemi esperti, alla originaria natura di mezzo e non di fine, ma vuole anche assumere la responsabilità dei suoi effetti attraverso un processo riflessivo, ossia capace di riflettere sulle conseguenze, e prima ancora sulle premesse, della produttività tecnica, economica, normativa.
Per definire nuovi modi di essere della produzione, senza cadere nell’impasse della postmodernità, bisogna in positivo descrivere modi alternativi alla vecchia modernità di produrre valore economico (utilità). Modi che non rinuncino alla forza degli automatismi e dei sistemi esperti, ma che ne rompano l’autoreferenza, ritirando la delega conferita a suo tempo. Gli automatismi e i sistemi esperti non sono neutrali e non sono onnipotenti. Anzi, il loro funzionamento genera effetti non previsti e non voluti, scaricando sulle spalle di persone, imprese, territori, i rischi di una complessità che eccede i mezzi messi in campo per controllarla.
Se è così, occorre un nuovo modo di fare e di essere management, che metta in movimento automatismi e sistemi esperti, ma che vuole anche assumersi la responsabilità dei loro effetti, proponendosi come un processo riflessivo, ossia un processo capace di riflettere sulle conseguenze della sua produttività tecnica, economica, normativa e di attrezzarsi per cambiare le premesse in base alle quali meccanismi e sistemi esperti sono chiamati ad agire.
La contemporaneità riflessiva è lo sfondo giusto entro cui leggere il passaggio dallo Scientific Management allo humanistic management. Riflessione, responsabilità, auto-correzione non possono infatti stare al di fuori, non possono essere assegnate ad altre organizzazioni specializzate. E’ il sapere interno che deve coltivare uno spazio plurale di possibilità, in modo che le scelte non siano unidimensionali e semplici in partenza, ma considerino fin dall’inizio aspetti su cui occorre riflettere, effetti di cui essere chiamati a rispondere, possibilità di monitoraggio e di correzione preventivate. Bisogna dunque pluralizzare – dando un’anima dialogica – automatismi e sistemi esperti nati per funzionare in modo semplice e unidimensionale.
Questo processo a livello aziendale non può che fondarsi su una approfondita riflessività individuale. In questo quadro, umanista è il manager che si assume tutto il gusto e il peso di una più lucida e radicale coscienza storica di sé, del proprio passato da sottrarre all’oblio, quale esso sia stato, poiché la consapevolezza della propria vicenda è il primo passo per dirsi umani. Non è di scarso rilievo che il gesto di scrivere, documentare, conservare quanto vissuto, si sia affermato come la manifestazione più alta della percezione della propria soggettualità.
Il retaggio umanistico è tutto tranne che un’astrazione consolatoria o puramente estetizzante: è soprattutto la restituzione a se stessi di una esistenza materialmente agita. Vi è più da apprendere da una pagina delle Memorie di Adriano di Margarite Yourcenar, o da quei “diari” (o più esattamente, cms, content management systems) individuali e collettivi che sono gli attuali blog su Internet, che da mille volumi di letteratura manageriale tradizionale. La scrittura della propria vicenda è occasione di raccoglimento, meditazione, riflessione che un tempo, in epoca rinascimentale e nei suoi prolungamenti, si sarebbe detto esercizio morale del raggiungimento interiore della propria “età virile”o muliebre che fosse.
L’illustrazione Caleidoscopio di memorie è di Stefano Faravelli
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